“Nella primavera del 1944, dopo la famosa 'svolta', Togliatti era a Salerno ministro nel governo presieduto dal maresciallo Badoglio. Un giorno il ministro degli Esteri, che era Carlo Sforza, chiese che il governo lanciasse un pubblico appello agli italiani delle due parti del fronte per salvare la patria divisa e sofferente. Tutti furono d'accordo e senza eccedere nell'immaginazione diedero incarico di scrivere l'appello a Benedetto Croce, considerato come il più alfabetizzato del gabinetto. Croce si consultò con Sforza: che tono tenere? E se Togliatti farà le sue obiezioni? Niente paura disse Sforza che era un esperto diplomatico. Croce carichi pure il linguaggio, se Togliatti obiettava ci avrebbe pensato lui, Sforza, a trovare un punto di compromesso. Così nella seduta successiva del Consiglio dei ministri Croce lesse l'appello e tutti attesero l'intervento del comunista, che sembrava immerso in una profonda riflessione. A un certo punto chiese la parola. Ecco, ci siamo si scambiarono un'occhiata Croce e Sforza. Togliatti cominciò così: 'È un buon documento; sì, proprio buono, all'altezza della situazione. Ho solo un'osservazione da fare (tutti attenti, adesso ci siamo): non si mette il gerundio all'inizio di una frase; ce lo ha insegnato il nostro don Basilio; non è vero, don Benedetto?' concluse rivolgendosi a Croce. Il richiamo al grande purista napoletano Basilio Puoti impediva qualsiasi replica.”