“Non so com'era alloraso un poco come adessoo sei il numero uno o sei il più grande cessoe il tempo che ti danno è fino al ritornelloe tante volte neanche fino a quello.”
“Certe notti sei solo più allegro,più ingordo, più ingenuo e coglione che puoiquelle notti son proprio quel vizioche non voglio smettere, smettere, mai.”
“Ce l'hai scritto che la vita non ti viene come vuoima è la tua e per me è speciale, e se ti può bastare saiche se hai voglia di ballare, uno pronto qui ce l'hai.”
“Le strade vuote non c'e' neanche il classicocaneha vinto ancora signora televisione.”
“Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, si fa un pò meno presto a convincersi che sia così.”
Io canto sempre guardando le facce delle prime file, sempre. Non sono di quelli che cantano fissando un punto nel vuoto: ho bisogno di quel tipo di scambio. E quindi vedo come ognuno di loro canta le parole delle mie canzoni, con che tipo di partecipazione. Poi mi sembra di leggerne l’interpretazione. Facce che si aprono. Facce che lasciano venire su. È una specie di processo catartico a cui non resisto. Sempre più facilmente, poi, quando vedo la lacrima silente, è difficile per me trattenere l’emozione. E mi si rompe un po’ la voce, spesso e volentieri. Mi sa che è qualcosa di irreversibile: sono sempre peggio da questo punto di vista. Insomma, un “rockertuttodunpezzo” direbbe che sto diventando sempre di più una mezza sega.