“Senti, io non mi intendo di suicidi. Quando sono cresciuto, a Brooklyn, mai nessuno si è suicidato. Erano tutti troppo infelici.”
“Era così depresso, che ha cercato di suicidarsi inalando vicino ad un armeno.”
Non stupisce che ci sia chi si suicida. Perché no? Perché non porre fine a questo assurdo? Perché portare avanti questa stupida farsa che è la vita? Perché... solo che dentro di te c’è una vocetta che dice: “Vivi!” E sempre, da qualche regione interiore, giunge l’ordine: “Continua a vivere!” Cloquet la riconobbe, quella voce. Era il suo assicuratore.
“- Che fa sabato sera?- Occupata. Devo suicidarmi.- Allora venerdì sera?”
“Andai in un'armeria e comprai un fucile. Intendevo... mi capite, se mi avessero detto che avevo un tumore maligno. Insomma, mi sarei fatto fuori. L'unica cosa che avrebbe potuto fermarmi, dico avrebbe, è che i miei genitori ne sarebbero sconvolti. Avrei quindi... avrei dovuto uccidere anche loro - prima. E poi ho una zia e uno zio. Avrei dovuto... capite... sarebbe andata a finire in un bagno di sangue.”
“Se non si legge, la vita è un lento suicidio.”
“Perché rinunciare? Perché arrendersi? Esiste al mondo una croce su cui valga la penasuicidarsi?”
“Io non mi ucciderò. Si dimenticano così in fretta i morti.”
“Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio.”
“Chi si abbandona al dolore senza resistenza o si uccide per evitarlo abbandona il campo di battaglia prima di aver vinto.”