Nel 1986 sembrava ancora naturale per degli scrittoridichiarare di essere, come disse Shelley, “i misconosciuti legislatori del mondo”, di credere nell’arte delle lettere come giusto contrappeso del potere, e di vedere nella letteratura una nobileforza transnazionale e transculturale che poteva, secondo la grande formulazione di Bellow, “allargare un poco l’universo”. Vent’anni dopo, in un mondo ammutolito e spaventato, semplici artigiani delle parole avrebbero trovato più difficile fare certe dichiarazioni. Più difficile, ma forse non meno necessario.
“Non è ciò che tu sei che ti frena, ma ciò che tu pensi di non essere.”
“Le nostre limitazioni e il successo saranno basate, molto spesso, sulle nostre stesse aspettative per noi stessi. Ciò su cui la mente indulge è ciò su cui agisce il corpo.”
“Non ho paura di niente, sono fatto così.”
“Uno non è mai più sotto esame che nel momento di eccessiva buona fortuna.”
“Io ero del tipo che nessuno pensa avrebbe potuto farcela. Io avevo uno strano accento bostoniano. Non potevo pronunciare le mie ‘R’. Non ero una bellezza.”