“Un episodio riassume nella mia memoria questi aspetti della personalità del finanziere e mecenate Vittorio Cini e la delusione che io finii per provarne. Nel 1963 avevo conosciuto il miliardarioamericano J. Paul Getty, dal quale mi recavo quasi ogni mese. Questa relazione incuriosiva, o affascinava, Cini. Si persuase, non so su quali basi, che ne ricavavo enormi somme di denaro e soprattutto credeva che Getty mi avesse concesso una percentuale sui suoi affari di petrolio. Era un'idea del tutto falsa, assolutamente irreale, eppure Cini voleva crederci. Un giorno, verso la fine degli anni '60, mi prese in disparte e tentò di affrontare la questione. Cini e io ci davamo del lei, come usa tra personeeducate e di condizioni sociali molto distanti. ‘Lei è dunque divenuto ricchissimo?’ finì col domandarmi, lasciandomi interdetto. Non volevo deluderlo, anche perché ero curioso di vedere dove sarebbe arrivato: gli risposi di sì. Cominciò un elenco di cifre: un milione, dieci milioni, venti milioni di dollari? Rimasi indifferente: ‘Oh, no, molto di più. Del resto lo sa lei stesso, con una fortuna importante è difficile fissare i limiti.’ Al che Cini concluse: ‘Ma allora lei appartiene alla nostra élite! Ora possiamo darci del tu.’ Come un tipico rappresentante della borghesia italiana non poteva sfuggire a questo spirito di gruppo fondato sui rapporti di forza e di servilismo dove nulla conta, se non il luccichio del potere.”