“Non so se mettevamo in manicomio la vita o la morte; forse è la morte che ho curato, era la morte che in manicomio sopravviveva.”
“A contestare il manicomio furono le persone che non lo abitavano, mentre i matti lo difesero.”
“Per me, che si parli di psicologo o di schizofrenico, di maniaco o di psichiatra è la medesima cosa: sono tanti i ruoli, all'interno di un manicomio, che non si sa più chi è il sano o il malato.”
Per poter veramente affrontare la "malattia", dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall'istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono.
“Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale [...]; viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo.”
Il manicomio – nato come difesa da parte dei sani contro la pazzia, come protezione dall'invasione dei “centri d’infezione” – sembra essere finalmente considerato il luogo dal quale il malato mentale deve essere difeso e salvato.
“Il manicomio non c'è più perché hanno inventato gli psicofarmaci che legano i pazienti meglio delle fasce di contenzione.”
“In quarant'anni di manicomio hanno fatto pace col cervello. Questi so' santi. E' gente che alla testa sua gli chiede soltanto di fargli il piacere di starsene sopra le spalle per appoggiarci il cappello quando arriva qualche parente in vista.”
“Dominazione del mondo. Il solito sogno. I manicomi sono pieni di gente che crede di essere Napoleone. O Dio.”
“Di visionari sono pieni i manicomi!”
“Io dico che queste mura sono strane: prima le odi, poi ci fai l'abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato. È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono. La parte che conta almeno.”
“Il mondo non è meno strano fuori dei manicomi che dentro.”
“Si va in manicomio per imparare a morire.”
“Ieri Fortebraccio, dalle colonne dell'Unità, ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente - e un po' anzitempo - riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede.”
“Una passeggiata in un manicomio dimostra che la fede non prova nulla.”