Ho deciso che le parolacce non le dico più. Dico solo diamine, acciderba, ammappalo e, quando mi girano un po’: “Non farmi girare i mumbastic” e “Vaffa”. Vaffa lo dico perché non se ne può fare a meno, è come il telefonino, non esco mai senza.
La bella parolaccia di una volta viveva e vigeva in uno stretto regime di protezionismo. Gli areali in cui allignava erano rigorosamente delimitati: ricreazioni scolastiche, osterie, caserme, campi sportivi, uffici, strade trafficate, camere da letto, riunioni informali di amici oppure (un “oppure” molto importante) di amiche. Circolava quasi esclusivamente fra persone dello stesso sesso, e tendenzialmente coetanee. Trovarla scritta, o diffusa da mass media, era traumatico.
“L'italiano, per inciso, ha un repertorio lessicali impagabile quando vuoi sfogarti; non i soliti e ritriti fuck o shit o merde o putain o shaise: tutto un ginepraio di espressioni fiorite, fantasiose, orripilanti e oscene con il quale puoi andare avanti per un quarto d'ora di fila, senza mai ripeterti!”
“1. Se un bambino parla in continuazione a casa, si opporrà categoricamente alla richiesta di una dimostrazione pubblica.2. Se un bambino a casa è timido e introverso, sceglierà un'area particolarmente affollata per dimostrare la recente acquisizione di nuovi vocaboli (cacca, culo, ecc.).”
“Le parolacce sono un privilegio di pochi e non significano volgarità.”
- Ho detto trentasette parolacce questa settimana. Ho detto vaff... due o tre volte, ma la maggior parte era... merda e bastardo. Cesso è una parolaccia?- Non so. Dipende in che senso lo usi.- Se dico "John, sei un cesso perché hai baciato Barbara"?- È una parolaccia.- Allora non sono trentasette. Sono settantuno.