“Perché la gente non poteva semplicemente accettare le altre persone? Perché tutti pensavano di dover cambiare per assomigliare di più a qualcun altro? Perché la gente si sentiva tanto minacciata da qualcuno che voleva vivere la propria vita a modo proprio?”
Lui è l’unico a indovinare che sono sempre “altro”: altro rispetto a quello che mostro e a quello che dico; altro rispetto a quello che la gente pensa; altro anche rispetto a quello che io stessa immagino.
“Se non sono disposto a mettermi in discussione, è il rapporto con l’altro che non è più possibile. L’espressione «dare fiducia all’altro» esprime la sensazione che tra la nostra idea di questo essere e l’essere stesso esista sin dal principio una relazione, un’unità, una certa consistenza dell’immagine che si ha di esso, una sicurezza e un’assenza di esitazione nell’affidare il proprio Io a questa concezione, che nasce certo da motivi riconoscibili, ma non consiste in essi. Così si presenta tutta la complessità della relazione di fiducia: costringe a un «salto» nell’ignoto.”
“Bisogna credere in se stessi per poter poi aprirsi agli altri, ma questa fiducia, questa «autostima» come la chiamano alcuni guru aziendali, non è sufficiente.”
“Esiste un «desiderio di vivere in società» che si esplica nella fiducia che l’uomo attribuisce al suo simile nelle avversità dello stato di natura.”
“La nostra esistenza non è isolata da quella degli altri. Tale principio vale anche per la vita di tutti i giorni: in famiglia è necessario distribuirsi i compiti e darsi il cambio in modo che ciascuno faccia tutto. Ogni membro della famiglia deve agire riflettendo su quello che stanno facendo gli altri.”