Credo a un dono di veggenza dei romanzieri… e la parola “dono” non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di superiorità. No, si tratta semplicemente di qualcosa che fa parte del mestiere: gli sforzi d’immaginazione, necessari a questo mestiere, il bisogno di fissare la mente su piccoli particolari – e questo in modo ossessivo – per non perdere il filo e non lasciarsi andare alla pigrizia.
“Mi nutrivo di carta ed emettevo fiamme.”
“Per i soldi non scrivo mai, ma recito soltanto.”
“Scrivere è un artigianato che non conosce maestri, se non in modo imponderabile.”
“Temeva di non riuscire più a scrivere, cercava di riprodurre sempre le condizioni in cui era nato il primo romanzo. Ecco allora un rituale fatto di matite particolari, di tende tirate, di sveglie alle cinque di mattino, di whisky e di tè. Un capitolo al giorno per otto giorni. E dopo un breveriposo, tre giorni per le correzioni.”
“Scrivere non è una professione, ma una vocazione di infelicità.”