“Nel corso di quegli anni, di quale paesaggio avevo mai sentito di far parte? L’ultimo che ricordavo familiare, caldo, era quello della sala da biliardo vicino al porto dove io e Kizuki andavamo a giocare. Poi quella sera Kizuki era morto, e da quel momento tra me e il mondo si era insinuato uno spazio vuoto, ostile e raggelante. Cercai di pensare che significato aveva avuto per me l’esistenza di Kizuki, ma non riuscii a darmi una risposta. Quello che capivo era che con la sua morte una funzione del mio essere, che forse si potrebbe chiamare adolescenza, era stata danneggiata in modo irreparabile. Questo lo sentivo e lo capivo chiaramente. Ma che significato ciò potesse avere, che conseguenze avrebbe portato, mi sfuggiva completamente.”