“Il costume più diffuso è il malcostume.”
“Il Giappone è terribile: ti piega ai suoi voleri e ti impone le sue usanze senza che tu te ne accorga.”
“Differenze di abitudini e linguaggi non contano se i nostri intenti sono identici e i nostri cuori aperti.”
“Poveroturista, poliglotta involontario. Viaggia portando con sé traveller’s cheques (per non farsi soffiare il cash), che rappresentano il budget dell’intera vacanza. Nel portafoglio tiene i vouchers per lunch e dinner (se qualcuno li chiamasse «buoni», gli sembrerebbe di tornare alla mensa aziendale). Durante lo stop-over, stravolto dal jet-lag, si trascina per la hall dell’albergo in cerca della reception (se gli dicessero «Vada pure al ricevimento» risponderebbe: «Grazie, non sono stato invitato»). Finalmente, la receptionist gli domanda se parla inglese. Lui, smarrito, fa segno di no con la testa. Sbaglia. Alla domanda «Do you speak English?» dovrebbe rispondere: «Certo. Ma mi piacerebbe sapere cosa dico».”
“Il cognome prima del nome è un indicatore psicosociale, come l’avambraccio sinistro sul tavolo mentre si mangia.”
“Se vi svegliate e vi portano la prima colazione con le patatine fritte siete a New York. Se ve la portano con il riso siete a Tokyo. Se la cameriera non sa parlare inglese, siete a Londra.”